Testo di Emanuela Genesio per la mostra “Il corpo disegnato”. AZAB
Benché non compaia alcuna carta disegnata tra le opere esposte da AZAB a Il Fondaco, Alessandra Barilla e Alessia Zuccarello ne accentuano la rilevanza nelle diversi fasi del loro processo creativo. Per Zuccarello, il disegno è al tempo stesso “contorno, ovvero una linea che dà una forma definita a ciò che si vuole fare” e “linea di continuità, perché è la genesi dell’opera, che evolverà in una precisa direzione”. Nel video introduttivo al montaggio esposto sulla parete principale, il corpo di Alessandra Barilla si vela di rami, acqua, cielo. Il dialogo tra gli elementi naturali e il movimento della performer si stabilizza per il tramite di linee e segmenti che disegnano una struttura condivisa e separata insieme. In questa condizione di partecipazione, il disegno è quell’intricata connessione di consistenze che mette in comunicazione le cose viventi. “Nel momento in cui l’intensità dello sguardo raggiunge un certo grado ci accorgiamo che un’energia altrettanto intensa viene verso di noi, attraverso l’apparenza della cosa che stiamo vagliando, qualunque essa sia” 10: il disegno così inteso diventa un ricevere, un “processo a doppio senso” che va sostenuto con fede. Forse è grazie a questa consapevolezza che i ruoli delle due donne si avvicendano durante le loro performance. “Per un artista osservare non riguarda solo l’uso degli occhi; è il risultato della sua onestà, della lotta con se stesso per capire quel che vede”, afferma Berger. “È incredibile il legame tra due persone leali; io credo nell’onestà!”, gli fa eco Barilla; “lo chiamiamo progetto a due cuori – prosegue Zuccarello –: per noi l’input creativo arriva sicuramente dalle emozioni, materia su cui ho ampiamente sperimentato e lavorato già da sola negli anni”. E se le emozioni, come ci ricorda Pert, sono il “punto di congiunzione tra materia e mente”, il cuore è la pompa che ne diffonde il dialogo, oppure la conversazione stessa “che si svolge fra livelli autonomi e subconsci dell’unità corpo/mente”. In Your big art is in your eyes and everybody says, il primo piano degli viso di Alessandra Barilla, gli occhi che si umidificano e producono lacrime, sono “il cuore della bellezza” . Nel saggio Il pensiero del cuore, James Hillman arriva a sostenere che la risposta estetica è incarnata da quella bellezza che è il nocciolo duro della nozione di Aisthesis affrontato sopra, “creazione in quanto manifestazione”. Da questo punto di vista, la bellezza è la qualità percettiva delle cose, si mostra in termini di tattilità, tonalità, sapori e funziona da innestatrice di emozioni: “la bellezza […] non è trascendente rispetto a ciò che è manifesto, e neppure nascostamente immanente in esso, bensì riguarda le apparenze in quanto tali, così come sono create, nelle forme in cui sono date: dati dei sensi, nudi fatti, Venus Nudata”. Alessandra Barilla è una Venere nel senso che ci porta ai sensi, la sua bellezza “rimanda alla superficie lucente di ciascun evento particolare, alla sua trasparenza, alla sua particolare brillantezza, al fatto stesso che le singole cose si mostrino alla vista e proprio nella forma in cui si mostrano”. Questa pluralità è, come dire, universalizzata dall’organo del cuore che è capace di trovare intimità, di trasfigurare il volto della singolarità in un archetipo. Lo san bene gli occhi di Alessia Zuccarello che riprendono quelli dell’amica con integrità e affetto, lasciando che “l’ispirazione arrivi come un respiro, in maniera naturale”. La gestualità della loro danza trasposta nella forma del video – come si vede in special modo in Sì lo so, sei sempre stata con me prima di ogni pensieroe in parte in Importante fino a ieri – è un segno tracciato nello spazio che gioca con i chiaroscuri della luce e con la consistenza dell’aria. La narrazione intesa come un susseguirsi di fatti concatenati semanticamente è per AZAB solo un punto di partenza da smontare, un “memo” che nella resa finale del video si fa astratto fino a “scomparire, per non lasciarne traccia nel lavoro finito”. È uno spazio vivo e ricettivo quello che dialoga con i corpi delle artiste e non di certo uno sfondo: “disegnare bene qualcosa, è toccarne la resistenza”, scrive il John Berger al figlio James; “il disegno è una necessità nel processo creativo, è l’inizio di tutto” gli fa eco AZAB.
Testo di Chiara Lanzi per la mostra “Finalmente non sono Qualcuno”. AZABUna crisi di rabbia incontrollabile. E poi una gran paura di poter perdere completamente il controllo, combinando qualche cosa di irrimediabile.Forse però gli automatismi cui la tecnologia ci sottomette sono ancora più subdoli e violenti delle umiliazioni a cui ci inchiodano talvolta i rapporti umani e così, in quello stato furibondo, mi fu comunque possibile sentire – inconfondibile e caustico – il suono di notifica con cui il telefono mi indicava l’arrivo di una nuova email.Era un WeTransfer, contenente i file mp4 che Alessia Zuccarello e Alessandra Barilla, le due artiste che si nascondono dietro l’acronimo AZAB, mi avevano inviato per programmare l’allestimento in Gipsoteca del loro contributo a La via del Sale.Un po’ barcollando, con la testa frastornata, andai comunque al computer – forse per istinto di salvezza o forse per pura meccanicità – ad aprire il primo video.Immediatamente sentii una luminosa forza vitale che si spandeva dal plesso celiaco, un flusso caldo e avvolgente che si diramava in tutto il corpo. Quelle immagini in movimento, quei suoni, mi stavano curando con potente immediatezza.Ecco come – per la prima volta – ho incontrato AZAB.Subito fu un’istintiva fascinazione ipnotica a funzionare.Solo più tardi, riconquistata la lucidità, mi sarei accorta che quel video raccontava puntualmente la mia orribile crisi di rabbia e la possibilità di superarla facendola diventare qualcosa di “importante fino a ieri”.A quel punto, con senso di gratitudine, decisi di “fare outing” descrivendo via email questo episodio alle due artiste. Ancora non ci conoscevamo di persona ed ero consapevole che il racconto dell’accaduto avrebbe potuto essere giudicato come frutto di una mente strampalata… per fortuna non fu così… quando l’incontro divenne “vero” e non più solo tecnologico, ormai potevo sentire per Alessia Zuccarello e per Alessandra Barilla un senso di affetto e intimità di lunga data: con loro avrei potuto dare per scontate mille questioni.Due donne (finalmente) che (guarda un po’) riescono a portare con séun’ondata di umanità, di cura e di amorevolezza.Lo sento proprio così l’apporto di AZAB nel dialogo con la Gipsoteca: un rimedio caldo e curativo, che arriva in aiuto a chi sta cercando sollievo alla propria affezione.Proprio non ci riesco a non traslare quell’episodio personale alla situazione attuale del museo. E’ parecchio ormai che durante lezioni, articoli e conferenze – a costo, anche in questo caso, di passare per una mente strampalata – sostengo che la gipsoteca poggia su basi penose e ammalate (la damnatio memoriae cui è stato sottoposto Giulio Monteverde, la trascuratezza per le sue volontà, l’insensibile freddezza per la sua magnificenza, lo sfregio subito dai suoi modelli in gesso, tanto per citare le questioni più angosciose) e che la strada da percorrere per un pieno risanamento è quella di una riconquistata umanità fatta di premura e di affetto.Ma scendiamo di più nel lavoro di AZAB e proviamo, nel contempo, a passare dalla sfera del vissuto personale e da quella assai specifica della gestione di un “piccolo” museo comunale, a una visione di carattere generale. Alessia Zuccarello e Alessandra Barilla – con il proprio gioco artistico che annulla ruoli e confini, in cui (come dicono loro stesse) “la danzatrice diventa regista e storyteller e la videoartista prende il ruolo di coreografa e danzatrice” – puntano il dito contro una “patologia” diffusa e grave del nostro tempo: il pensiero duale che ci fa sentire separati da tutto il resto, non connessi agli altri esseri, individualisti, egocentrtici e importanti solo per noi stessi. AZAB affonda le mani nel Sé collettivo che èfatto di un sentire comune e profondamente umano, al di là di qualsiasi differenza superficiale.La crisi di rabbia raccontata dal loro primo video si placa dolcemente nell’incontro tra due corpi, nel riconoscimento dell’altro, nella reciproca rivelazione di “piccole” miserie umane, nella cura amorevole che ci culla come un grembo materno, nell’ironia di un gioco condiviso. La monocromia algida dei toni assimila fortemente il video alla collezione statuaria del museo e quei gesti rabbiosi, qui manifestati, appaiono sorprendentemente anche episodi di furia iconoclasta (rappresentando simbolicamente e terapeuticamente l’oltraggio che i gessi monteverdiani hanno subito).Il secondo video insiste su occhi pieni di dolore e di lacrime e viene proiettato in una sala che allestisce i monumenti funerari di un architetto, di un nobiluomo e di una madre rimasta a piangere figli e nipoti strappati via d’un tratto da un’epidemia. Quegli occhi – ed èuna dote prevalentemente femminile – sfogano la tristezza in lacrime, la lasciano fluire; non la trattengono, non la pervertono con un rifiuto; ma la riconoscono, la accettano come un talento (a “big art”) che è sempre stato dentro di noi.Il terzo video segue una contorsione di corpi. Corpi in cerca di una semplice forma di intonazione e compostezza ancora non trovata. Ma da quella scomposta ricerca sboccia un gesto sublime di mani pronte a creare. Dalla pena, cui il corpo si abbandona, sgorga un nucleo spirituale di creatività e di empatia: “sì lo so tu sei stata con me prima di ogni pensiero”.Con quella torsione di corpi (corpi che si divincolano, corpi che si abbandonano) e con quell’anelito di mani (mani che ti abbrancano, mani che si protendono), proprio in questa sala, si manifesta nella maniera più risonante il gioco formale del dialogo con la gipsoteca e con il suo scultore, talvolta capace di vere e proprie contorsioni cerebrali (massimamente in Idealità e materialismo che è l’opera/ travaglio di una vita).Il contributo di AZAB alla ricerca di frammenti della nostra profonda umanità – al di là della rabbia, del dolore, del contorcimento – meritava di essere meditato e ampliato: e così da La via del sale è nato un dialogo più approfondito che ha esposto altri lavori fotografici: alcuni “congelano” i momenti più significativi delle video-installazioni, come il gesto rabbioso che è anche furia iconoclasta, altri le ampliano in nuove immagini suggestive, come l’abbandono nel dolore, fino alla fuga finale nel verde, che forse è scoperta della nostra vera natura umana.
Testo di Marco Enrico Giacomelli per la mostra “La via del sale”.
Alessia Zuccarello e Alessandra Barilla: dalle loro iniziali nasce l’acronimo AZAB. E dalla loro collaborazione nascono opere che fanno intersecare fotografia, videoarte e performance. Fra i gessi di Giulio Monteverde, in una gipsoteca che già di per sé è un miracolo di tenacia e sano legame con il territorio, tre video narrano poeticamente della ricerca di sé. Senza dogmi e senza imposizioni, con la grazia del movimento e la fermezza della musica. Un progetto che un utilizzo frusto, logoro del linguaggio definirebbe “a quattro mani”. Soltanto che in questo caso le mani c’entrano fino a un certo punto, se non le si considera parti di un corpo. Un corpo che palpita e si contorce e danza, senza alcuna forzatura stucchevolmente sperimentale, senza dimenticarsi quanta animalità – sia la benvenuta! – abiti il nostro comportamento, la nostra relazione con gli altri e prima di tutto con noi stessi. E allora la sfida si trasferisce anche nei ruoli assunti dalle due artiste: capita in tal modo che la danzatrice assuma le vesti della regista, mentre la videoartista performa; capita che l’una racconti e l’altra coreografi. Per dar vita a un processo di indagine interiore che si svolge nella forma di un trittico video dal titolo Finalmente non sono qualcuno; un percorso che non è solo metaforico, poiché letteralmente attraversa la gipsoteca, abitando tre delle sue sale.